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Dall’altra parte del mare

Il mare come il fondo dei sedimenti della memoria non per coprire antichi dolori mai del tutto sopiti, ma per non dimenticare ciò che è accaduto…

Regia Jean Sarto (Giancarlo Sartoretto)
Supervisione alla regia Veronica Bilbao La Vieja
Soggetto e sceneggiatura Monica Rapetti
Fotografia Aldo Di Marcantonio
Scenografa-Costumista Erminia Palmieri
Montaggio Patrizia Ceresani
Musiche Alessandro Molinari
Produzione Dream Film S.r.l.
Produzione Esecutiva Caro Film S.r.l.
Durata 80 minuti
Anno 2009
Cast:
GALATEA RANZI – Clara
VITALIANO TREVISAN – Abele
GORDANA DE SANTIS – Tosca
TONY ALLOTTA – Filippo
ALESSANDRA BATTISTI – Franca
DINO CASTELLI – Padre di Clara
VIVIANA DI BERT – Gigliola
FULVIO FALZARANO – Claudio
PAOLO SUMMARIA – Fabrizio.

Sinossi:
Un regista (Abele), a cui il Comune di Trieste ha commissionato uno spettacolo sul Giorno della Memoria, e un’attrice esule per scelta a Parigi (Clara), si ritrovano a Roma per lavorare ad una messa in scena teatrale sulla Shoah. Clara porta con sé un vecchio documentario, un’intervista alla musicista Tosca Marmor che racconta la sua esperienza diretta di deportata sotto il regime nazista, girato nel 1979. Il materiale girato diventa il punto di partenza per la stesura del dramma da trasporre in palcoscenico. Gli attori coinvolti, durante le prove di messa in scena si mettono a nudo, prendono posizioni contrastanti, confessano le loro emozioni, i loro dubbi, le difficoltà nell’entrare nella parte di coloro che hanno vissuto un dramma difficile da raccontare e, forse impossibile da rappresentare, intanto Clara a Trieste per dei sopralluoghi, cerca di dare un volto ad un fantasma del passato.
Suo padre, scomparso quando lei aveva 8 anni. Viene a sapere di un suo passato oscuro. Abele intanto cerca i luoghi adatti per il suo teatro itinerante, ma non trova più i segni del passato e l’orrore provato visitando San Sabba, lo fa desistere dall’impresa: non si può esprimere l’inesprimibile e neanche rappresentarlo.
Clara con il padre ritrovato riesce a lasciarsi alle spalle i suoi fantasmi e può finalmente guardare dall’altra parte del mare…

NOTE DI REGIA

E’ un film che parla della shoah e lo fa in maniera multimediale, in questo film vediamo una sala prove in zona Tor Bella Monaca a Roma, dove degli attori di teatro, su incarico del Comune di Trieste devono mettere in scena l’olocausto, nella sala aleggia come un fantasma la video-intervista di 30 anni prima a Tosca Marmor una deportata ad Auschwitz che racconta la sua esperienza di perseguitata sotto il regime nazista che l’ aveva segnata in profondità, esperienza che s’era fissata lungo i meandri della mente, dentro la memoria, infiltrata nei pensieri quotidiani.

Il suo “esistenzialismo” è un derivato composto di dolore e silenziosa attesa, e ora solo la sua immagine continua ad esistere nello sfondo di questo teatro di periferia dove gli attori lavorano alacremente ad una possibile messa in scena della shoah. Però il regista è eroso dal dubbio e dalle incertezze, il Comune di Trieste gli ha commissionato uno “spettacolo” teatrale del giorno della MEMORIA, ma è mai possibile – si chiede – “spettacolarizzare” l’evento. Probabilmente aveva letto o visto il dramma teatrale di Fassbinder “Per un pezzo di pane”.

Il conflitto si instaura tra lui e la sua amica Clara regista del video della deportata di Auschwitz, la quale mantiene un approccio più consueto e meno critico della funzione dell’attore, il suo compito è quello di rappresentare anche l’orrore. Alla fine tutto rimane sospeso nel vuoto e nel grigiore dell’esistente, probabilmente la rappresentazione non si farà. Clara che aveva fatto i sopralluoghi a Trieste ne approfitta per dare un volto a un fantasma che la ossessionava da quando era piccola.

NOTE CRITICHE

E’ un film che parla di una rappresentazione teatrale multimediale basata a sua volta su un romanzo, su materiale fotografico, su interventi video. Questi vari livelli emergono di tanto in tanto, senza soluzione di continuità: gli attori un attimo prima si trovano a guardare in macchina, diretti verso lo spettatore, poi subito dopo si rivolgono agli altri personaggi, cambiando improvvisamente livello diegetico. Una sorta di teatro volutamente filmato, con buona pace dei critici francesi dei Cahiers di Cinema che negli anni Sessanta, sotto l’egida teorica di André Bazin, fecero di tutto per demolire questa pratica. Ma in tempo di appiattimento televisivo, un tale tipo di messa in scena potrebbe risultare piacevolmente controtendenza.

Dal punto di vista narrativo, invece, il film si snoda su un doppio binario tutto sommato tradizionale che, partendo parallelo, giunge ad uno scambio verso la metà del film. Da un lato c’è la vicenda della compagnia, il cui scopo è riuscire a portare in scena un qualcosa di profondamente irrappresentabile come l’Olocausto; dall’altra, la storia personale di Clara, che invece deve affrontare il fantasma di un padre mai conosciuto, che vive proprio lì dove avrà luogo la rappresentazione.Quindi il nocciolo non è tanto la problematicità di una qualsiasi rappresentazione dell’Olocausto (Abele chiede a Clara se “vuole davvero rifare una versione teatrale de La vita è bella) quanto la fusione del particolare con l’universale.

 

Documenti storiografici

I due pilastri del nazismo:
1° razzismo
2°fanatismo
che insieme generano odio, l’odio comunica negatività verso i fondamenti della società

Quello che scaturisce leggendo il libro di Gitta Sereny “In quelle Tenebre”, è la grande ambizione di un oscuro poliziotto ex operaio specializzato che diventa il Kommandant di Treblinka: Franz Stangl. La Sereny ha raccontato le vicissitudini di questo poliziotto coinvolgendo anche la moglie di lui in un resoconto appassionato della sua vita, compreso l’orrore del campo di sterminio.
Anche se non si è macchiato direttamente di atti di ferocia a differenza di altri nazisti, Stangl era comunque il responsabile dello sterminio che si svolgeva sotto i propri occhi. Aveva fatto costruire una piccola stazione finta dipingendo le lancette dell’orologio che accoglieva graziosamente i deportati, come se quello fosse un luogo di passaggio, i deportati si fermavano per fare una doccia….
Nella parte del campo dove abitava crescevano tanti bei fiori e c’era pure un lungo viale alberato lungo 800 metri, dall’altra parte c’era lo sterminio quotidiano.

SHIVITI

è il titolo del libro con il sottotitolo UNA VISIONE, l’autore Ka – Tzetnik 135633 che significa deportato in un campo di concentramento con tanto di tatuaggio al braccio, si chiama in verità YEHIEL DE-NUR, ha voluto firmarsi come uno qualunque di quei deportati, a significare che lui si è salvato per caso – era scappato per miracolo nascondendosi in un bidone di carbone- dentro a un camion di deportati che andava verso le camere a gas.
Loro adesso erano fantasmi, rivivevano attraverso la sua memoria, quella memoria che però lo tormentava la notte proiettandolo nell’incubo. Per questo motivo accetta 30 anni dopo di rivivere la stessa esperienza per superarla e lasciarsi i fantasmi alle spalle. Doveva chiudere definitivamente i cancelli del campo di Auschwitz che erano ancora aperti e lo costringevano ogni sera con l’ausilio del buio a rientrare nell’orrore. Rivive dopo 30 anni una seconda volta l’esperienza attraverso l’LSD sotto la direzione dello psichiatra dr. BASTIAANS, specialista nei disturbi provocati dai campi di concentramento.
Sono 5 sedute chiamate Cancelli della Memoria in cui l’autore attraverso gli effetti deformanti e mistici dell’Lsd cerca di ripercorrere quei tremendi ricordi, cioè riprovare un dolore supremo per tanti parenti e amici periti e deperiti. Quest’ultime erano delle larve, all’ultimo stadio della degradazione umana, sia fisica che psichica.
E nella visione mistica indotta dall’ LSD la scritta ARBEIT MACHT FREI viene trasformata nelle parole ebraiche LO CREO’ AD IMMAGINE DI DIO…

Il paziente vedeva i morti e il sangue che usciva dalle bocche di visi sconvolti, tutta la percezione si alterva….

“Dove ci sono gli uomini là c’è Auschwitz, è il visitatore della notte che viene dall’inferno, è il negativo dell’uomo creato a immagine di Dio”.
“…qui i polmoni respirano il fumo delle camere a gas e di notte il vento trasporta le ceneri di un corpo come il tuo, leggero e appena fiorito; le ceneri di un viso come il tuo e labbra come le tue labbra…Anch’io c’ho un tatuaggio.. il mio tatuaggio è per sempre….”
Che dire di fronte a queste suggestioni mistiche accostate all’orrore?

Che dire ancora parlando dello “spirito “ tedesco trasformato in razzismo e fanatismo e l’unità mistica di un popolo che è stata capace solo di creare  un flusso di odio uniforme tanto da attraversare tutto l’occidente. E l’organizzazione industriale della morte in un’immensa catena di montaggio?
Il TAO libro di saggezza orientale dice che l’ordine e la disciplina se hanno uno scopo determinano una crescita spirituale, senza scopo ed esteriorizzati, portano invece al fanatismo.
Bisognava far sparire dalla faccia della terra l’ebreo, il diverso, che per secoli aveva osato integrarsi o semplicemente vivere con i propri costumi dentro la civiltà occidentale: il nazismo doveva essere il fulcro della modernità e la sua bandiera doveva stare al centro del mondo,  bisognava però eliminare qualsiasi traccia di ebrei da questo mondo (la soluzione finale stava maturando dopo tanta attesa).
Ma non erano solo gli ebrei ad essere vittime dell’olocausto, v’erano anche gli zingari e Ka Tzetnik 135633 racconta un episodio di un carico umano di zingare con i loro bambini: poiché il crematorio era completamente saturo e le baracche erano piene oltre ogni limite, i camion svuotarono il loro carico dentro alla fossa e l’SS si rivolge al primo della  fila…scriveva Ka-Tzatnik,- ordinandogli di prendere il contenitore del kerosene e versarlo sulle donne e i bambini: – “no, no” ripeteva in olandese con un tono spaurito e allarmato, ritraendosi dall’SS: “No, no”, continuava, cosicché l’SS è costretto a far tutto da solo, sbraitando contro il prigioniero e mentre le donne e i bambini cominciavano orrendamente a prendere fuoco tra urla e strepiti il tedesco “si avvicinò a noi inserendosi alle spalle della fila, sferrò improvvisamente un violento calcio al corpo scheletrico dell’olandese che volò  tra le fiamme… .
“Dove ci sono gli uomini là c’è Auschwitz, è il visitatore della notte che viene dall’inferno, è il negativo dell’uomo creato a immagine di Dio”.
Il dr Bastianas afferma che bisogna “assecondare il processo” per liberarsi dalla prigionia della memoria, che diventa una fissazione ossessiva, diversa dalla rimozione, ed intervenire nella stessa memoria come “liberazione dal male”. Lasciarsi i cancelli alle spalle significa chiudere con quella esperienza di orrore e quindi conquistare una nuova libertà e in cui poter finalmente ricordare, ma lasciando il dolore alle spalle.

Ci siamo avvalsi di questo materiale:
SHIVITI di Ka-Tzetnik 135633 “Sensibili Alle Foglie”, 2007;
IL TEATRO di R.W. FASSBINDER “Ubu Libri”, 2002;
SHOAH di Claude Lanzmann Dvd + Libro “Einaudi” , 2007;
OLOCAUSTO/OLOCAUSTI a cura di F. Soverina “Odradek”, 2003;
L’ISTRUTTORIA di Peter Weiss “Einaudi”, 1966;
IN QUESTE TENEBRE di Gitta Sereny “Adelphi”, 2005;
LA RISIERA DI SAN SABBA di Ferruccio Folkel “Bur” 2006;
LA RISIERA DI SAN SABBA di M. Mucci “L.E.G.”, 1999;
DALLO SQUADRISMO FASCISTA ALLE STRAGI DELLA RISIERA di Aa.Vv, 1974;
DVD – RISIERA DI SAN SABBA a cura del Comune di Trieste;
DVD – L’ULTIMO METRO’ di Francois Trauffaut;
TRIESTE VENEZIA GIULIA 1943 “1954” di Livio Grassi Ed. Italo Svevo;
I PEGGIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA, Trieste in guerra 1943/45 di Stelio Millo ;
PORTOBUFFOLE’ di Salomone G. Radzik, Giustina 1984
(Venezia, 6 luglio 1480, perché tre ebrei furono bruciati sul rogo in p.zza San Marco?) per capire le discriminazioni di allora verso gli Ebrei;
RISIERA DI SAN SABBA monumento nazionale a cura del Comune di Trieste.

La modernità si apre con due grandi stermini riguardanti gli indiani d’America e i neri d’Africa e continua nella forma più crude del colonialismo e dell’imperialismo..la “barbarie civilizzata” (viene) portata alle estreme conseguenze da Auschwitz e Hiroshima…tuttavia Auschwitz simbolo per antonomasia dello sterminio nazista, non segna tanto una regressione o una grave battuta d’arresto, quanto rivela, insieme con le esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki del 1945, il volto inquietante del progresso industriale e tecnico-scientifico.
Dal libro: OLOCAUSTO/OLOCAUSTI – a cura di Francesco Soverina , pref. di Luigi Cortesi (pag. 5)

…dal milione di armeni uccisi durante la 1° guerra mondiale per volontà soprattutto dei giovani turchi, dallo sterminio attuato dal nazismo, dalle vittime dello stalinismo a quelle dei Khmer rossi nella Cambogia di Pol Pot, dal massacro di oltre 500.000 militanti comunisti in Indonesia tra il ’65/’66, alle pulizie etniche nell’ex jugoslavia, al massacro tra Hutu e Tutsi nel ’94.
Vengono coniati termini come Untermenschen, biocrazia, ebreicidio… nel dicembre del ’41 entrò in funzione il 1° campo di sterminio: BELZEC (pag. 60) OLOCAUSTO/OLOCAUSTI cit.

REINER WERNER FASSBINDER “PER UN PEZZO DI PANE”
…comunque sia, in qualche modo si ha sempre anche l’impressione di rimanere se stessi e il personaggio che io interpreto, non esista realmente, capisce cosa voglio dire? (pag. 25)

…non pensa che assoldare attori per interpretare delle vittime uccise col gas sia altrettanto orrendo che ucciderle col gas? (pag. 31)

Tu cosa faresti se, dopo aver accettato una parte senza riflettere ti capitasse di non riuscire più a interpretare il ruolo, perché non ti identifichi più o non riesci a tirar fuori niente dal tuo
personaggio?
FRICKE: la mia regia, in fondo, è la stessa delle SS di allora…comunque devo essere un po’ come loro per dare verità alla rappresentazione, e questo mi rende infelice (pag. 32)

Da L’ISTRUTTORIA DI PETER WEISS (IL CANTO DELLA BANCHINA) ispirato al processo di Francoforte.
TESTIMONE 8
Mentre scaricavamo nacque un bambino
Gli avvolsi intorno quelche indumento
E lo disposi vicino alla madre
Baretzki mi si avventò contro col bastone
Picchiò me e la donna
Cosa fai con questa cacata
Gridò
E diede un calcio al bambino
Facendolo volare per 10 metri
Poi mi ordinò
Porta qui quella merda
Il bambino era morto

Da IL CANTO DE LAGER
TESTIMONE 3
Nella latrina c’erano lunghe vasche di cemento
Con sopra tavole fornite d’orifizi
Vi potevano prendere posto 200 persone
Il Kommando – latrine vigilava
Che nessuno rimanesse troppo seduto
Quelli del Kommando
Si avventarono coi bastoni sugli Haftlinge
Per buttarli fuori
C’era chi non poteva così in fretta
E nello sforzo
Espelleva un tratto di retto
Una volta cacciati fuori
Si rimettevano vicino a quelli in attesa
Non c’era carta
Certi per pulirsi
Si strappavano un brandello d’abito
O di notte si rubavano a vicenda
Pezzi d’uniforme
Da tenere di riserva
I bisogni andavano fatti di mattina
Di giorno non era possibile
Se qualcuno veniva colto
Era la prigione
Gli scoli del lavatoio
Finivano nella latrina

Da IL CANTO DEL LAGER (pag. 46)
TESTIMONE 4
Le gamelle consegnateci
Servivono per 3 usi
Per lavorare
Per la zuppa
Per i bisogni di notte

TESTIMONE 5
Quando ci stesero sui tavoli
Nella sala d’accettazione
Ci frugavano nell’ano e nella vagina
Per cercare preziosi…
Io m’attaccavo a quelle
Che erano troppo deboli
Per consumare la loro razione
E m’impadronivo di questa
Alla prima occasione
Mi mettevo in agguato
Quando stava per morire
Ma con un pancaccio migliore del mio….(pag. 47)
Poteva sopravvivere soltanto il furbo
Che ogni giorno
Con attenzione sempre desta
Conquistava il suo palmo di terreno
Gli inetti
Gli apatici
I miti
Gli agitati gli inadatti
Gli afflitti quelli
Che si commiseravano
Erano schiacciati (pag. 48)

TESTIMONE 4
Arrivai in una baracca
Piena di cadaveri
E vidi
Che qualcosa si muoveva tra i morti
Era una bimba
La portai fuori sulla strada
E chiesi chi sei
Da quando sei qui
Non lo so
Disse
Come mai sei qui in mezzo ai morti
Chiesi
E quella disse
Tra i vivi non posso più stare
La sera era morta

TESTIMONE 5 (pag. 49)
Dovevamo scavare fosse
Molte donne stramazzavano sotto badilate di fango
Erano nell’acqua fino alla vita
Le guardie ci sorvegliavano
Erano giovanissime
Una donna si rivolse al kommandofuhrer
Signor Capitano
Gridò
Non posso lavorare in questo modo
Sono incinta
Quelli risero
Uno col badile la tenne
Sott’acqua
Finché affogò

TESTIMONE 8 (pag. 53)
Nel lager della quarantena c’erano ratti
Che addentavano non solo i cadaveri
Ma anche i malati gravi….
Avevamo anche qualche compressa d’aspirina
Che veniva appesa a un filo
Malati con febbre sotto i 38 gradi
Potevano leccarla una volta
Malati con febbre sopra i 38 gradi
Due volte

TESTIMONE 8 (pag. 54)
C’era la NOMA
Malattia che insorge
In individui all’estremo delle forze
E scava nelle guace buchi
Che fanno intravedere i denti

Da IL CANTO DELL’ALTALENA (pag. 78)
TESTIMONE 5
Saltò giù un bambino (dal camion)
Con una mela in mano
Boger si fece sulla porta
Il bimbo stava lì con la mela
Boger si diresse verso il bimbo
Lo afferrò per i piedi
Gli sbattè con violenza la testa
Contro la baracca
Poi raccolse la mela…che mangiò più tardi

Da CANTO DELLA POSSIBILITA’ DI SOPRAVVIVERE (pag. 111)
TESTIMONE 4
Le ragazze
Erano messe davanti all’apparecchio Roentgen
Fissavano loro una placca sul ventre
E una sul didietro
I raggi venivano diretti sulle ovaie
Che bruciavano
Sul ventre e sul didietro rimanevano
Gravi ustioni ulcere
da Peter Waiss – L’istruttoria

La shoah non fu solo un massacro di innocenti, ma soprattutto uno sterminio di gente indifesa, ingannata a ogni tappa del processo di distruzione, e fino alle porte delle camere a gas.
Frediano Sessi – Nota su Claude Lanzmann e su “Shoah”

La grande arte di Claude Lanzmann consiste nel far parlare i luoghi, nel risuscitarli attraverso le voci, e, al di là delle parole, nell’esprimere l’indicibile attraverso i volti
(Simone de Beauvoir)

Chi arrivata ad Auschwitz e, nel giro di poche ore, veniva gassato e ridotto in cenere, moriva senza aver minimamente compreso la propria morte….
Frediano Sessi – Dal cuore dell’Inferno

CLAUDE LANZMANN

Il 16 ottobre 2007 ho avuto l’occasione di essere presente alla presentazione del film documentario sull’olocausto che dura circa 9 ore, alla presenza del suo autore che per anni aveva lavorato alla rivista TEMPI MODERNI di Sartre.
E’ un’opera monumentale di grande impatto emotivo rivissuta circa 20 anni fa dagli ultimi testimoni oculari non solo attraverso le parole ma anche rivivendo le canzoni dell’epoca.
L’autore viene premiato dal sindaco di Roma, Veltroni, il quale nel suo intervento parla soprattutto ai giovani: la memoria come antidoto per il futuro affinché non si ripetano più simili mostruosità. Il film SHOAH è dell’’85 e non vuole spiegare del perché di ciò che è successo, ma il come, descrive i dettagli più minuti, ha spiegato nel suo intervento il critico cinematografico Mario Sesti.
E’ intervenuto infine Moni Ovadia che ha aggiunto come questo film di Lanzmann sia un nuovo modo di vedere la Shoah. C’è stata la collaborazione di Bim con Einaudi, i 4 DVD accompagnati da un libro che riporta i dialoghi del documentario stanno dentro ad un cofanetto e il prezzo è di € 38,00 (non per tutte le tasche).
Tra la gente seduta ho incrociato un vecchio amico che non vedevo più da 10 anni, Peter con cui ho parlato e m’ha fatto vedere due deportati che presenziavano all’incontro: il deportato di nome Terracina – Veltroni ha ricordato che il 16 ottobre 1943 vennero deportati più di mille romani ebrei e ne tornarono solo 16 – e Pezzetti Marcello direttore del museo della Shoah.
Era presente anche il n. 1 della distribuzione di Stato: l’Istituto Luce, il dott. Sovena.
Gian  Sart

IL TEMPO

Nel suo insieme, tuttavia, il film ha un rigore stilistico notevole e pur dando più spazio al saggio che non allo spettacolo, si fa accogliere con rispetto. Anche per la sua cifra insolita.

Gian Luigi Rondi

CORRIERE DELLA SERA

Il film è di estremo interesse ideologico-tematico-cinefiliaco e giustamente non risolve l’enigma tra neutralità ed emozione….un confronto di testa tra mezzi d’espressione-comunicazione che sollecita un momento pilotato di riflessione nel finale open in cui il grigio uccide lo spasmo morale di un teatro che ha perso il diktat epico, ma cerca altrove, tra la Risiera e Basaglia.

Maurizio Porro

IL MESSAGGERO

Ancora un piccolo, fiero, film italiano sull’eterno dramma d’amore tra arte, vita, teatro e cinema dopo L’Ultimo Pulcinella di Scaparro. Dall’altra parte del mare di Jean Sarto (nome d’arte di Giancarlo Sartoretto)…mescola i linguaggi, crea contrasti troppo teatrali…e si lascia andare a qualche datato vezzo meta cinematografico quando fa discutere gli attori del film sul film. Ma c’è personalità.

Francesco Alò

CLOSE-UP

Il teatro, che sembra essere l’unico genere di riferimento all’interno della pellicola, apre in realtà diversi punti di vista, piccoli flash che si insinuano in questo racconto ricalcando la logica delle scatole cinesi: ogni “scatola” spazio-temporale racchiude in sé un rimando (…)


CINEMA AVVENIRE

Forse con DALL’ALTRA PARTE DEL MARE il regista Jean Sarto – pseudonimo di Giancarlo Sartoretto, già curatore del Net Indipendent Film Festival, al suo primo lungometraggio, si è voluto cimentare con una sfida ai limiti dell’impossibile: immergere fino al midollo il discorso sulla memoria e il rimosso legato al trauma collettivo più doloroso della Storia moderna, quello della Shoah e dei campi di concentramento nazisti, in un contesto che fosse al tempo stesso metalinguistico e psicoanalitico. Dall’altra parte del mare è, a conti fatti, un’opera dalle ambizioni smisurate, che affronta di petto un numero incalcolabile di tematiche eteroclite, cercando, in una maniera e con modalità quasi “rabdomantiche”, un “collante” che le tenga insieme in maniera coerente e – soprattutto – credibile.

Sergio Di Lino

Megamodo

E’ un film che parla di una rappresentazione teatrale multimediale basata a sua volta su un romanzo, su materiale fotografico, su interventi video. Questi vari livello emergono di tanto in tanto, senza soluzione di continuità: gli attori un attimo prima si trovano a guardare in macchina, diretti verso lo spettatore, poi subito dopo si rivolgono agli altri personaggi, cambiando livello diegetico.


CIAK

Ma l’esordiente Jean Sarto (all’anagrafe Giancarlo Sartoretto), nonostante molte ingenuità e un avvio faticoso, riesce a firmare un’opera inconsueta che ragiona su tempo e memoria e approda ad un finale poetico.

S. L.