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Il Teppista

Un teppista perché? Film sul disagio giovanile di chi non riconosce nel lavoro la realizzazione di sé e cade nell’unica via: la violenza

Regia: Veronica Perugini

Montaggio: Chiara Anselmi

Fotografia: Giuseppe Lanci

Musiche: Alessandro Molinari

Sceneggiatura: Veronica Perugini, Giancarlo Sartoretto

Interpreti: Giacomo Zito (Loris), Michela Cescon (Vania), Paolo Fagiolo ,Claudio Mezzelani, Carlo Vitale

Anno: 1994

Durata: 90′

Produzione: Caro Film

Menzione Speciale Festival sul Disagio Sociale di San Salvo 1996

Rientrato nel progetto MEDIA Salles – 1995, 5° ediz. di “L’Europa si incontra al cinema”

Proposto nel programma dell’AGIS Scuola.

Trama:
Loris appartiene ad una famiglia di modeste origini; pieno di incertezze, di dubbi. Segue un percorso sociale tradizionale: una donna, un lavoro… ma le sue esperienze lo gettano sempre più in una dimensione di fragilità. Loris vaga e ricerca se stesso in un ambiente che gli sembra sempre più soffocante, dove i conflitti e le contraddizioni aumentano e non gli permettono di tracciare un proprio itinerario. Infine dopo aver cercato i più diversi mestieri, non gli resta che adeguarsi e scegliere un conformismo che, si trasforma in teppismo.

DUEL

“La storia: Loris cerca lavoro e non lo trova. Quando lo trova, dura poco. Non lo vogliono, o non vuole lui. Così si arrangia. Vivacchia, deambula, dormicchia. Con un vissuto a pezzi, un rapporto sentimentale in crisi, due genitori che “rompono”, Finché, quasi per caso, si mette a rubacchiare: anche il furto, in fondo, è una forma d’imprenditoria…

Contabile nello studio di un commercialista. Scaricatore di bevande in cassetta. Autista avventizio di camioncini espressi. Pulitore di cessi. Infermiere in un ospizio. Inserviente al servizio autopsie di un obitorio. Infine operaio in un mattatoio bovino. Bel “curriculum”, quello del protagonista del film d’esordio di Veronica Perugini. Quasi un paradigma della precarietà giovanile degli anni ‘90, tra rifiuto del lavoro e pratica selvaggia della flessibilità. Andando controcorrente rispetto alle mitologie incorporee e inorganiche della società post-moderna, Loris attraversa il “mondo del lavoro” precario secondo un tragitto che lo porta ad avvicinarsi sempre più al corpo e alla sua materialità. All’inizio lavora con la carta (le fatture), il vetro (le bottiglie) ed il metallo (il camioncino), poi è costretto a sporcarsi le mani nella merda e nell’urina, a manipolare cadaveri umani e a fare a pezzi carogne bovine.

Eppure, questa progressiva “invasione” della corporeità non provoca soprassalti né sussulti nel film: che scorre freddo e gelido nella sua “frontalità” pasoliniana, illuminato dalle belle luci piatte ed uniformi della fotografia di Beppe Lanci.

Bella scelta, intrigante e coraggiosa: con un soggetto così bastava un nonnulla per cadere nell’ovvio, nel sociologismo da rotocalco, nella banalità da reportage di Italia 1. Perugini invece aggira il rischio optando per una recitazione straniata nella sua teatralità, per un “sussurrato” andante che si infiamma soltanto in due o tre inserti satirici (il supermercato, lo stadio, il pasto in mattatoio) e poi si srotola uniforme ed ossessivo, rifiutando i facili colpi di scena alla Marco Risi o le tecniche televisive del pietismo e dello scoop. Più chel’ennesimo esempio di neo-neorealismo, Il teppista è un vero e proprio rap visuale, modulare, ripetitivo, ritmato nelle cadenze martellanti di gesti sempre uguali. Fra deambulazioni periferiche e camminate senza meta, un film sul “girare a vuoto” di una generazione: quella che un tempo ha conosciuto la rabbia e la speranza, e che ora si spegne a poco a poco nel grigiore di una routine che ha perso sia la strada della rivolta che quella dell’integrazione.”

Gianni Canova

L’informazione

“Un film di una attualità sconcertante che non può non piacere alle giovani generazioni, anche se i moventi umani sono sempre gli stessi. Ma qui si tratta di cifre stilistiche dirette, senza compiacimenti o inutili censure. Veronica Perugini ha portato sullo schermo le contraddizioni di una società terribilmente confusa e priva anche di quelle confortanti speranze di cui si nutrono per eccellenza i giovani cui è stata tolta anche la possibilità di sognare.”

Eugenio Zucchi

Casting

“Il teppista è un’opera coraggiosa, forte, sgradevole per chi è abituato alle tranquille storielle minimali del giovane cinema italiano, recitata con bravura dai due protagonisti.

Il teppista è la storia di un viaggio verso la criminalità. Criminalità vista come unica strada, come via senza uscita, visti i fallimenti professionali, sociali e sentimentali del protagonista. Loris è un ragazzo friulano che appartiene ad una famiglia di origini modeste. Cerca di trovarsi un lavoro stabile, ma invano. Questa instabilità professionale si ripercuote anche sul suo rapporto con Vania; la ragazza infatti, stanca della triste condizione economica di Loris, lo lascia.

Comincia così una discesa verso gli inferi: occasionali occupazioni sempre più umilianti, prevaricazioni da parte di un qualunque uomo della strada (la scena dell’edicola). Le insicurezze del protagonista si moltiplicano, la fragilità psicologica aumenta.

La violenza non è che la conseguenza di tutti questi fattori negativi. Il progressivo disagio esistenziale di Loris viene sottolineato da una sceneggiatura ricca e varia: la pipì nervosa, le 308.000 lire guadagnate in 20 giorni ad esempio sono elementi psico-economici che contribuiscono a dar vita ad un personaggio sfaccettato.

La stessa Udine, fotografata con abile freddezza da Beppe Lanci, non fa altro che acuire il malessere del personaggio; Loris infatti attraversa gli spazi della città friulana, vorrebbe dominarla, ma è invece proprio questa che surclassa il protagonista, restringendogli lo spazio con incolori palazzoni di cemento.

L’unico neo è forse il finale un po’ troppo simbolico che allenta quella tensione narrativa che si accumula nel corso della pellicola. Nonostante ciò, esordi del genere ne vorremmo vedere più spesso.”

Simone Emiliani

Il Manifesto

“La storia. Un ragazzo vive con un mostro di fidanzata tutta efficienza e avidità. Solo la mamma lo capisce mentre lui esperimenta l’odissea di chi il lavoro lo vorrebbe, ma non a tutti i costi. Meglio allora gli amici del bar, del biliardo, dei furtarelli e delle risse da curva sud, anche perché perfino i piedissini si comportano stronzamente, come tutti gli altri e la strada dell’autovalorizzazione a mezzo furti con destrezza non si improvvisa. Cercasi una strada per esistere, almeno come individualità (circondati come si è nel film da attori-mostri da filodrammatica), e per non diventare invisibili, diventa lo scopo del nostro eroe. Che penetrerà sempre più in spazi da incubo, risucchiato nei luoghi concentrazionari dove la sua rivolta ha già tovato il suo pessimo esito: manicomio, obitorio, mattatoio. In un impazzimento di ritmi, e “soli” free jazz, che la regista maneggia con sicurezza.

Il film racconta il destino di uno qualunque di quei ventenni disoccupati e piuttosto irascibili di oggi che non smaniano, però, come i loro padri e madri per ottenere un lavoro fisso, qualunque sia. E non solo perché la prospettiva di marciare sotto padrone e sotto pagati può essere addirittura peggiorata, oggi, rispetto alle odissee degli sfruttati papà metalmeccanici o commessi, perché stanno addirittura seviziando le pensioni, ora, invece di raddoppiarle o triplicarle, ma anche perché le lotte fatte negli anni sessanta e settanta dagli studenti e dai proletari saranno anche state troppo tenere e 0perbene, ma un segno sul destino delle generazioni successive l’hanno lasciato, così, automaticamente, geneticamente: i giovani di oggi si fanno far meno fessi di quelli di ieri. E comunque sono piuttosto pericolosi quando si scatenano in gruppo. La bizzarria del film è infatti nel titolo. Il teppista come singolo, esiste? Finora eravamo abituati a deprecare le azioni vandaliche dei “teppisti”, che, lo dice il concetto stesso, solo in massa e approfittando della superiorità vigliacca delle forze in campo, si merita questo non benevolo epiteto.”

Roberto Silvestri

Corriere della Sera

“Qualcosa del cinema di Pasolini resta impigliato nella cinematografia da vedere e da discutere dei nostri autori.”

Giovanna Grassi