Ecco che tutto cambia, ma i problemi nel cinema sono sempre gli stessi perché non si risolvono mai, si incancreniscono, e intanto si fanno convegni in cui si afferma che tutto va bene Madame la Marchesa, cioè c’è la crisi, va beh, ma dove non c’è?

E intanto le monosale chiudono, certe società indipendenti quando non chiudono non hanno continuità produttiva, non possono neanche fare un business plan decente: SEMPRE LE STESSE PREOCCUPAZIONI!

Cosa si chiede allora alla politica? Si ha sempre meno fiducia che qualcosa cambi, ma intanto le ricette nei convegni ci sono sempre, resta da vedere se sono valide o sono l’ennesima rappresentazione dell’impotenza DA PARTE DELLE CATEGORIE, per cui la politica di settore diventa la perenne recita a soggetto per dire poco o niente, dove dei personaggi si fanno lustro ma dove tutto rimane assenza, impotenza, l’importante è crearsi un nome come attore principale di questa rappresentazione per potersi poi sedere nel banchetto del potere e parlare di problemi che non si ha nessuna voglia di risolvere, però intanto aumenta la propria influenza, e alla prima occasione arriva un finanziamento.

Altre volte invece di una recita a soggetto c’è un copione prestabilito, sempre lo stesso, dove tutto diventa eco, ridondante…

TUTTO RIMANE FERMO ovvero gattopardescamente, tutto deve cambiare perché non cambi nulla? Se vai a vedere dieci anni fa eravamo nel 2004, e il settore era come sempre, perennemente  in crisi crisi…crisi…crisi…crisi…crisi…crisi…crisi

Ormai siamo nell’eco isi isi isi

PROBLEMATICHE RELATIVE A PICCOLI MOVIMENTI VERSO LO SFINIMENTO

I due disegni di legge a firma PD  farebbero ben poco per risollevare le sorti di questo cinema eppure sono tutti entusiasti: 100 autori compresi, siii qualche correzione ma la sostanza tiene…ma di che sostanza parlano! Franceschini vuole fare ritornare il cinema ai tempi dei telefoni bianchi (adesso li chiameremmo telefonini, iPod, iPad, iPhone, mentre la Di Giorgi vuole imitare i francesi, non siamo neanche capaci di fare gli italiani che dobbiamo imitare i francesi? Tutti pensano che con qualche provvedimento a livello produttivo cambi qualcosa, “na beata minchia, cambia”! Direbbe il comico.

La globalizzazione in atto nel cinema comporta come è noto il dominio hollywoodiano sull’75% del mercato italiano, (facciamo 70% col fenomeno Zalone)per cui nello stesso c’è spazio per non più di 25-30 pellicole italiane ed europee, tutto il resto è a rischio invisibilità e il grande pubblico italiano sa ben poco di tutta una serie di film nazionali molto belli.

Col reference-system la produzione italiana diventa sempre la stessa commedia, leggiadra, leggera, leggerina, Mainetti rappresenta una lieta eccezione, e la produzione si restringerebbe a max 50 film, con una riduzione verticale di creatività, attori, idee, culture anche regionali e una diminuzione di capitale intellettuale del 50%, è facile fare i calcoli perché in Italia vengono prodotti mediamente 100 film all’anno (senza coproduzioni) e 50 non incassano cifre significative.

Molti di noi saranno spazzati via, cambieranno mestiere o saranno assunti alle dipendenze di qualche grossa produzione nazionale – riuscirci però – visto che nelle grosse produzioni a Roma permane una mentalità familistica più che manageriale, in cui nessuno si fida di nessuno, giusto dei parenti (se c’è qualche sociologo del cinema potrà constatare l’infinità di cognati, fratelli e sorelle che ci sono nell’ambito delle società cinematografiche).

Qualche anno fa Michele Anselmi diceva a proposito di film italiani finanziati pubblicamente che il mercato italiano non li avrebbe mai assorbiti ponendo un problema molto delicato: può un produttore italiano fare concorrenza a un film da 100 milioni di $ che ha un budget pubblicitario superiore a qualsiasi film italiano ad alto costo?

Si, ha detto qualcuno magari facendo un film italiano da 50 milioni di euro, (creando un consorzio di più società e prendendo qualche grosso attore hollywoodiano?!). E’ questa la strada, fare solo qualche progetto grosso o sarebbe invece augurabile il contrario: che anche il mastodonte Hollywoodiano diventasse più piccolo in maniera da democratizzare la distribuzione mondiale facendo vedere (oltre alla produzione italiana indipendente, anche altre produzioni asiatiche, africane oggi fortemente penalizzate? Puntare sul grande vuol dire distruggere il piccolo, cioè il cinema indipendente. Qualcuno dice giustamente. Ma a che serve il cinema indipendente italiano se non lo vede quasi nessuno?

Questo per me è un buon punto di partenza, ma noi stiamo parlando di cambiare la distribuzione e non provvedimenti per la produzione, eppure i due disegni di legge e anche l’associazione di Martha Capello parlano positivamente di sé stessi, perché aumentano il tax credit.

MA ANCHE SE FOSSE, CAZZAROLA, SE POI QUESTI FILM NON VENGONO DISTRIBUITI A CHE SERVONO QUESTI INCENTIVI, ve lo siete chiesto questo? Non è poi cosi difficile.

Bisogna partire dalla distribuzione, dalle sale dall’esercizio, dagli istituti culturali che magari all’estero non fanno una beata m. per farli conoscere. DOBBIAMO PARTIRE DALLA DISTRIBUZIONE NON DALLA PRODUZIONE, lo vogliamo capire!

Così invece si distruggeranno molte professionalità e si ridurranno la libertà di idee e di progetti. E’ la distribuzione che non permette a questi progetti di farsi conoscere. Gli esercenti pensano giustamente all’incasso e vogliono film pubblicizzati,  quindi preferiscono i prodotti americani, da noi non si è mai pensato ad es. facilitare una certa promozione di questi film italiani in modo che tanti prototipi di casa nostra possano apparire sui giornali e sulle televisioni come i mostri americani? In una società stracolma d’immagini e di informazioni di basso profilo non dovrebbero essere sprecate immagini qualitative (quando lo sono).

Per concludere questi due disegni di legge sul cinema si inscrivono più come “ideologia di mercato” che aumento di mercato e quindi fanno solo burocrazia. 

giancarlo sartoretto