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LA MEMORIA DELLA RESISTENZA NEL TREVIGIANO/2

4 Dicembre 2017

C’erano quelli più inquadrati nel PCI ad es. e tanti altri poco alfabetizzati con scarsa cultura e coscienza politica che avevano una ideologia più confusa, genericamente comunista, ma anche ribellistica alla Robin Wood che finirono in qualche caso, a far razzia ai miseri contadini stretti dalla fame, come lo facevano i nazisti.

La cultura borghese invece vedeva la guerra di resistenza come continuazione del risorgimento ottocentesco: Garibaldi, Mazzini ma anche Cavour e Vittorio Emanuele II° (con i liberali e i monarchici) Garibaldi era stato spinto più in là, con la camicia rossa era anche il simbolo del comunismo, ma piano piano anche il PCI nelle sue commemorazioni del dopoguerra si accodò a queste motivazioni risorgimentali con qualche piccola variazione di contorno, relegando la soggettività popolare a qualcosa di anarcoide e irrazionale.

La soggettività popolare era stata ignorata e rimossa con un certo fastidio dalla narrazione storica.

Vanzetto appunto parla di altre motivazioni cancellate, e meno sussidiarie delle motivazioni definite dalla classe dirigente e dalla storiografia ufficiale, quest’ultime sovente consolatorie e discriminanti, inficiate da pregiudizi.

Questo voler disconoscere la soggettività polare al di fuori dell’egemonia borghese che lotta contro certi pregiudizi culturali, può voler dire in definitiva, il bisogno di contrastarla rimuovere delle tesi e dei libri che la contengono (dello stesso Livio Vanzetto) quasi un “mobbing intellettuale” di cui è stato vittima.

Sta di fatto che la storiografia più accreditata non vuole dare altre motivazioni alle vicende storiche di cui si parla, (magari integrarle) ….. una scelta politica o un silenzio strategico?

Più di qualcuno (Girolamo Arnaldi, storico) dice che non è opportuno parlare e riconoscere la soggettività popolare che quindi deve rimanere subalterna alle classi agiate, tra le quali comprendere anche quelle intellettuali di sinistra.

Noi registriamo – dice Vanzetto – una forte partecipazione dei contadini alla Resistenza, ma siamo fermi ancora al saggio di Angelo Ventura del 1975 che oggi appare sconcertante, solo 20 pagine appaiono pertinenti al titolo FAMIGLIA PATRIARCALE e CIVILTA’ CONTADINA.

Giuseppe Gaddi un esponente del PCI fu il più lungimirante, contestò nel ‘75 i storiografi di non aver saputo capire l’apporto dei contadini alla lotta dei partigiani come se avessero avuto dei pregiudizi di classe: “il contadino ignorante… che parla male, da correggere sempre e un po’ umiliare quando si esprime”.

Se vediamo il libro di Elio Fregonese su I CADUTI TREVIGIANI NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE 1943-45 scopriamo che il 95% ha appena la quinta elementare, tanti la terza e più di qualcuno analfabeta e oltre ad esserci tanti contadini, curiosamente ci sono anche tanti meccanici che a quell’epoca costituiva una professione poco sviluppata, del futuro.

D’altro canto VENETICA rivista di storia, parla di una chiusura della società contadina verso l’esterno dove la paura della miseria (bastava anche un raccolto per perdere tutto) la costringeva a tutta una serie di atti di difesa, di “patronage” una ricerca in sostanza di protezione sociale, patronage che rappresentava la tutela di quel mondo economicamentei facile, i patroni di 1° e 2° grado costituivano una struttura di controllo del mondo contadino.

Bisognerebbe studiarsi i verbali dei consigli comunali del dopoguerra e capire il consenso alla Dc che ripeteva ciò che era avvenuto negli anni 20 con la Leghe Bianche, ai tempi del Conte Girolamo Marcello e Ottavio Dinale un amico di Mussolini, come lui massimalista.

Tra il ‘43-45 sono i nazisti al governo e le brigate nere, non erano più tutti i fascisti, molti si erano eclissati e ritirati qualcuno però parlava e informava e costituiva il popolo delle spie che rimaneva dietro le quinte per non compromettersi.

Le comunità contadine erano autonome all’inizio del Novecento proprio perché non leggevano la stampa e non sapevano niente di ciò che succedeva, non erano integrati e conservavano comportamenti e riti antichi e una sapienza che non aveva niente a che vedere col nuovo Stato che stava integrando i ceti popolari e l’effigie del re lo vedevano nei francobolli .

In quegli anni tra il ‘43-’45 Il sacrificio dei partigiani e dei patrioti suonava come riscatto rispetto alle colpe del fascismo e anche come alibi per non fare i conti col proprio passato.

La memoria ufficiale della resistenza non “identifica” oltre il 30% dei cittadini, è una memoria appunto ufficiale mentre è presente l’ostilità popolare della resistenza nella società rurale veneta.

I contadini si trovavano speso isolati, avevano paura di tutte le avversità e le miserie della vita sapevano di essere fragili, bastava poco per non mangiare e quindi in loro c’era la ricerca del PATRONAGE, una specie di protezione contro la malasorte anche contro gli eventi negativi.

Le casse rurali parrocchiali, anche se si manifestava rancore verso le Autorità legate alla Chiesa, avevano bisogno di quelle stesse autorità, c’era anche una confusa voglia di rivalsa, di riscatto.

Dopo il ‘43 ben pochi decisero di aderire alla Rsi (Repubblica Sociale Italiana), molti rimasero alla finestra, ma un buon numero scommise sulla resistenza partigiana e i capi partigiani erano i nuovi “patroni” con loro c’era la speranza di vivere meglio e uscire dai lavori più umili.

Primo Visentin (Masaccio) è un partigiano figlio di contadini che però si è laureato e politicamente aderisce al Partito d’Azione, è  un intellettuale e uno dei capi partigiani e come Ermenegildo Pedron avverte il nuovo che avanza, però verso la fine della guerra il clima cambia, i poteri cambiano, lo stesso Masaccio ha la sensazione di essere emarginato, ci sono dei contatti segreti con i fascisti per garantire a loro  l’impunità in cambio di un appoggio nell’azione di stabilizzazione e di controllo sociale, Visentin è contrario: “nessuna transazione con le Brigate Nere” o la Decima Mas accozzaglia di ladri e delinquenti” -afferma –  e come Pedron è intransigente, per questo Visentin viene assassinato nel pomeriggio del 29 aprile ‘45, la stessa sorte era toccata a Toni Adami a Valdobbiadene nel marzo del ‘45, costui cercava di coniugare il cristianesimo col marxismo su posizioni pacifiste, un avvocato che si muoveva in quei luoghi senz’armi,  anche l’avvocato Edoardo De Bortoli (Carducci) fu ucciso a fine aprile in uno scontro con i tedeschi i quali subito dopo si arrendevano alle forze partigiane, Luciano Dal Cero “Paolo” e altri, tutti caduti negli ultimi giorni di resistenza, poco prima che arrivassero gli americani, in circostanze mai pienamente chiarite (Giacomo Chilesarti, Giovanni Carli, Attilio Andreetto, Pietro Maset).

Tutti i veri partigiani quelli puri e intransigenti, finiscono all’estero perché danno fastidio al processo di stabilizzazione del vecchio potere, e proprio per questo tanto malvisti, i puri quando non emigrano e rimangono, se ne devono stare zitti per paura di ritorsioni.

Se dopo il 25 aprile i partigiani gestivano il potere locale in carenza di autorità statale col favore dei parroci, pian piano questi ultimi diventano superpartes e distaccati mentre gli impresentabili riescono a ritornare e prendersi i posti di responsabilità isolando i partigiani, tanto che già alla fine del ‘45 il viceprefetto, l’azionista Gallo denuncia “la deleteria mentalità fascista che intossica tutte le attività” e il cambiamento dura quanto il governo Parri: pochi mesi.

Alla fine anche i più scontenti cercano di integrarsi in quel ritorno di “patronage clericale” e tendono a rimuove le esperienze resistenziali e le velleità di rinnovamento, solo i più compromessi con la lotta antifascista furono costretti ad andarsene in altri luoghi e in altre città.

Gian Sart

LA MEMORIA DELLA RESISTENZA NEL TREVIGIANO

FILIPPO FOCARDI – LA GUERRA DELLA MEMORIA: LA RESISTENZA NEL DIBATTITO POLITICO ITALIANO DAL 1945 AD OGGI – Ed. Laterza 2005;

ELIO FREGONESE CADUTI TREVIGIANI NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE 1943-1945-Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana -1997 (efc);

ANTONIO SERENA – I GIORNI DI CAINO – Il dramma dei vinti nei crimini ignorati dalla storia ufficiale – Panda Edizioni, 1990

GIROLAMO ARNALDI – STORIA DELLA CULTURA VENETA (volumi e epoche varie)

ANGELO VENTURA – INTELLETTUALI CULTURA E POLITICA tra fascismo e antifascismo – Ed. Donzelli 2017

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