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LA MEMORIA DELLA RESISTENZA NEL TREVIGIANO

28 Novembre 2017

Presso l’Istresco di Fiera, il 2 novembre è avvenuto questo incontro con lo storico Prof. Livio Vanzetto.

Noi sappiamo che la memoria è viva quando sono vivi i soggetti che l’hanno prodotta, ma col passare del tempo anche i ricordi si affievoliscono e l’oralità tende a scemare, solo le parole scritte possono rappresentare ciò che è avvenuto, i fatti, e le tante interpretazioni che hanno prodotto libri, ma ci può essere anche la memoria audiovisiva sulle vicende della Resistenza.

Le memorie sono tante, quelle dirette, quelle indirette, per sentito dire, scorrono nel tempo perdendo il sentimento che le ha prodotte, e intanto si perde il senso della società che ha generato dette vicende, tutto cambia velocemente anche i pensieri della gente che si allontanano e rimuovono fatti e circostanze fino al punto che qualcuno dice che non c’è stato, quel tal avvenimento sarebbe solo il parto di una fantasia “fissata”, allora quando i fatti tremano ci si attacca ai dati, si snocciolano solo freddi dati quasi sempre di morte, che non ci aiutano a capire i perché della rimozione, per fortuna però che parla anche la memoria visiva, (Eisenhower disse ai suoi nei Campi di Sterminio appena liberati, di fotografare tutti quei morti accatastati, perché un domani avrebbero detto che non era vero) solo nei secoli precedenti quando funzionava soprattutto l’oralità tutto si disperdeva salvo per qualche documento scritto, qualche incartamento polveroso a volte di difficile lettura, che veniva alla luce, oggi però nella società massmediologica produciamo tanta di quella memoria, tante immagini, foto, che è impossibile dimenticarci, anzi forse ci ricordiamo troppo.

Quasi tutta la società veneta e trevigiana in particolare nel ‘45 si era schierata con la resistenza, sia l’alta e media borghesia, il popolo e gli operai, anche la campagna o una sua parte preponderante si era schierata con i partigiani, però dal ‘46 cambia tutto, – ci dice Vanzetto – i valori partigiani vengono denigrati, anzi in vaste aree di campagna si registra il rifiuto della stessa Resistenza, cosa era successo, come mai questo ritorno ad un mondo reazionario e clericale?

Nelle stesse aree per il Referendum Costituzionale del 2 giugno ‘46, aveva prevalso la Monarchia (come al sud Italia), anche con altissime percentuali, mentre la Repubblica vinceva nei centri urbani, per cui il vento del Nord aveva al suo interno delle zone in cui non soffiava.

Quaranta anni dopo, ecco il libro di ANTONIO SERENA “I Giorni di Caino” (una revisione di destra) storiograficamente inattendibile, (una memoria viva ma non condivisa) vende migliaia di copie parlando male dei partigiani e della loro violenza, come se le Brigate Nere e la Decima Mas fossero angioletti vittime dell’odio partigiano, e le torture da loro perpetrate (che arrivavano a togliere gli occhi delle vittime) non ci fossero state, quindi un rovesciamento della realtà esistente, con una verità di parte che faceva a pugni con tutta la storiografia presente, c’era una sorta di ostilità-omologazione massmediologica di contenuti “revisionisti” e siamo negli anni ‘90, ma già la classe contadina nel dopoguerra – come abbiamo detto – aveva dimenticato e rimosso la guerra partigiana a cui aveva aderito sin dal principio, promuovendo sul campo certi suoi capi molto vicini a questa classe, anche come origine.

Molti partigiani che volevano il cambiamento, combattevano non solo per la libertà (in sé un ideale borghese) ma anche per un altro tipo di società dove questa libertà si potesse manifestare pienamente, un’altra Italia che potesse avvicinarsi al mito della grande Russia, c’era però tanta confusione e semplificazione e nell’immediato dopoguerra vedendo il ritorno al potere di personaggi compromessi col regime molti partigiani se ne andarono indignati, fuggirono all’estero, emigrarono, mentre il filone filosovietico si svaporava a poco poco, in base al principio del socialismo in un solo paese, e quindi solo quello russo, le armi nascoste, dovevano essere restituite e i membri del PCI cercavano di convincere i più ritrosi che non volevano entrare nella categoria degli ex combattenti, una categoria quest’ultima che nella prima guerra mondiale costituisce la nervatura dell’ideologia fascista, gli ex combattenti partigiani potevano farlo per quella comunista e ci fu anche l’occasione dell’attentato a Togliatti, ma se c’era qualche tentativo di ribellione tra gli operai, i contadini trevigiani secondo Vanzetto costretti com’erano dalle necessità economiche, cercavano già delle “protezioni”, “patronati” per sopravvivere alla atavica miseria, avevano cioè rivolto le spalle alla speranza di un qualche cambiamento.

Anzi dal dopoguerra per oltre 50 anni il Paese pensò allo sviluppo economico mentre la lotta partigiana aveva trovato posto tra i simboli istituzionali, in primis la Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948, della continuità col patriottismo risorgimentale dove spesso vinceva la retorica dello “sprezzo del pericolo” alimentata anche da un Partito Comunista che non voleva approfondire la complessità di una Resistenza che aveva tante sfaccettature e motivazioni.

Il rischio era che la stessa Resistenza potesse perfino sfuggire agli schemi della sua prassi politica immediata, antidemocristiana, ma prudentemente occidentale per l’effetto delle sfere di influenza, una linea strettamente di partito che assorbe nella quotidianità le differenze che vengono relegate sempre più in là, a un domani quando si vincerà le elezioni, al di là delle parole ancora rivoluzionarie, la “linea” politica indugia sempre più verso un riformismo radicale che sta al posto di una “rivoluzione proletaria” ormai sbandierata solo alle feste dell’Unità, di fatto accettando la coesistenza pacifica, mentre si tende a rimuovere la storia della resistenza in quanto “presenza di un gran numero di irregolari”, che magari avevano fatto la lotta senza una coscienza politica sviluppata, e premiando invece quei partigiani obbedienti alla linea politica facendoli diventare dirigenti, che avrebbero dato lustro allo stesso partito.

Tutta una serie di problematiche erano rimaste sottotraccia quasi escluse dalla storia, al punto che si parla anche di una guerra della memoria (Focardi) e di lotte intestine tra i partigiani distinguendo quelli più vicini ai partiti come la Dc, liberali e monarchici (di soliti chiamati attendisti) e quelli unitari Azionisti, Socialisti Repubblicani e Pci più “azionisti” e vicini al comunismo garibaldino e altri gruppi chiamati spesso bande, più ribelli e istintivi.

Fine prima parte

Gian Sart

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