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4 – L’HOMO DEMOCRISTIANUS 2° CAP.LO

6 Gennaio 2013

Il centro quindi come luogo di confluenza che si espleta nel compromesso dove prolifera l’homo democristianus. 2° CAP.LO

Cosa dice lo Zingarelli a proposito del termine compromesso? Nel significato n° uno, si parla di obbligarsi scambievolmente a ricorrere al giudizio di un arbitro ed a accettarne la decisione.

Come nei contrasti tra imprenditori e lavoratori o meglio loro rappresentanti sindacali, dove il governo, cioè il ministro del lavoro interviene tessendo una rete per mediare gli opposti interessi e riuscire così a portare in porto i contratti collettivi. Ecco allora che è lo stato nelle sue rappresentanze istituzionali che cerca di dirimere le controversie tra le parti sociali, quale organismo neutro.

Se la sua natura sia neutra o no, ciò ha dato spazio ad una sequela di teorie soprattutto in campo marxista che non vale la pena di approfondire perché il processo generativo di uno stato si basa su tali e tanti variabili che rinviano ad una complessità organica difficilmente districabile. In effetti quando lo stato lasciava che una parte (quella più forte) vincesse sistematicamente in virtù appunto della sua forza, la parte debole, allora si poteva parlare di regime liberale in cui le forze economicamente potenti erano maggioritarie.

Ma con lo stato democratico tutto ciò è diluito, mentre il neoliberismo più che essere una riedizione dello stato liberale costituisce semplicemente una reazione alle degenerazioni burocratiche e stataliste della democrazia, con una funzione tutta interna al rinvigorimento del mercato attraverso una finta concorrenzialità economica e una sua rappresentazione ideologica che deve stimolare l’universo capitalistico.

In effetti oggi siamo nell’epoca degli oligopoli scaturiti da un mercato mondiale ultraspecialistico in cui ogni grande azienda si può mettere d’accordo con altre due o tre per suddividersi il territorio e quindi fare una finta concorrenza, questo processo può portare anche a una burocratizzazione o “statalizzazione” dello stesso capitalismo e una economia pervasa più dalle rendite di posizione che dall’innovazione, per cui il rischio economico non diventa l’elemento fondante dell’attività economica, ma una variabile perniciosa da ridurre al massimo.

Paradossalmente più aumenta la burocratizzazione del capitalismo maggiore è la paura dello statalismo e ossessiva diviene l’ideologia che ha il compito di rappresentare una realtà che non esiste più: il liberalismo in politica e il liberismo in economia.

Il compromesso nel significato numero due parla di accordo, accomodamento tra due o più persone o tesi e sim. in contrasto tra loro in cui ciascuno dei partecipanti rinuncia ad una parte delle sue richieste, rivendicazioni (transazione) ma significa anche UNIONE DI DUE E PIU’ ELEMENTI DIVERSI E CONTRASTANTI.

E ci chiediamo: cosa può partorire questa unione se non un monstrum ideologico? Ma a parte ciò e senza voler fare i puri ad oltranza, dove può avvenire questo incontro se non nel centro, luogo “neutro” delle confluenze più o meno parallele o contrapposte che si incontrano nell’impeto centripeto, anche se questa dinamicità che assume la politica può essere bloccata solo da chi in centro ci sta già e non deve spostarsi da nessuna parte. In ogni caso questi elementi diversi e contrastanti stando insieme occupano un territorio di convergenza, in cui la conoscenza o riconoscenza reciproca fa rinunciare almeno per un periodo di tempo, alla loro differenza, appiattendosi nella creazione di un qualcosa di nuovo, un ibrido che viene chiamato semplicemente inciucio, del quale i maestri sofisti italiani machiavellici per eccellenza dimostrano talento.

Questo gusto del centro che significa anche incontro col capitale, non risulta letale solo per le ideologie nella loro capacità di prescrivere mutazioni “genetiche” dell’organismo sociale, ma anche per il maggioritario che si nutre di differenze e non di convergenze e che quando è costretto al compromesso lo fa dal suo punto di forza se non vuole indebolirsi.

Rinsaldando invece questo nuovo elemento centripeto e giustapponendolo ad uno pseudo-tecnicismo nascosto nella solita “neutralità” (anche questa di centro) si fa politica e promuovono interessi nella continuità, alimentando la solita trasversalità di poteri nutriti di più variabili ideologiche e quindi totalizzanti che a loro volta contribuiscono a indebolire la stessa identità ideologica sempre più neutralizzata da pratiche personalistiche.

Quando si parla di rappresentare tutte le voci in seno alla Rai ad esempio, si finisce per ribadire che tutto il potere va ai partiti, i quali sono gli unici rappresentanti delle voci della società civile, anche se fossero separati dalla medesima. I partiti possono sentire le voci, ma se dissentono da quelle voci cosa ne viene fuori?

Che le voci si trasformano in rumori di fondo senza rappresentanza. La questione come peraltro lo dicono già in molti, è che l’informazione diventa strategica per la conservazione o rappresentazione del partito, per cui si tratta di occupare semplicemente dei posti, arrivando al grottesco di un visto da destra, visto da sinistra con il centro che domina organicamente il flusso delle informazioni le quali devono essere per forza “medie”, né troppo sbilanciate a sinistra, né troppo sbilanciate a destra (neutralità) e quindi favorevoli al centro, nobilitate dall’antico detto filosofico del giusto mezzo di origine greca. Come si può allora superare e risolvere il problema del servizio pubblico dell’informazione?

Facendo un servizio al centro e/o alle periferie? Il centro è il più medio, accontenta tutti, le periferie sono parziali, più discutibile la loro portata, escono dalla medietà e quindi dalla mediazione, meno controllabili e socialmente desiderabili le periferie sfuggono a ciò che è precisato.

Un tempo in Tv c’erano i mezzi busti che con la loro aria di imparzialità assomigliavano al regime liberale nella difesa degli interessi predominanti, interessi che convergevano nel centro antico dove già trovavano chi li tutelava. Oggi i giornalisti non hanno più la museruola e non abbaiano a comando a parte qualche cane da guardia d’un padrone, oggi i giornalisti sono più di parte e vogliono conquistare un’obiettività dalla loro parte che rimane difficile perché l’obbiettività rinvia sempre e comunque a degli obbiettivi che dovrebbero essere esplicitati e non tenuti nascosti.

Allora è meglio essere sfacciatamente faziosi, come i partiti dovrebbero essere, ed esplicitare che si serve un padrone e un’ideologia piuttosto che tacere e farlo di nascosto ovvero rappresentare i fatti in maniera da contemperare varie esigenze difficilissime però da sostanziare – ci vuole grandissima professionalità e un alto senso etico della giustizia – in modo da dare un quadro esaustivo di massima dei medesimi, senza tralasciarne troppi di significativi e spiegando possibili accostamenti molto spesso frutto delle proprie credenze più autentiche ma anche dei propri pregiudizi.

Certo che così prima di far partorire una notizia bisogna sudare parecchio e come l’alchimista cercare dosaggi con equilibrismi complicatissimi col risultato di rallentare un processo spesso vorticoso e comunque veloce. Nella realtà succede una cosa meno nobile, i partiti dicono una cosa ma ne intendono una completamente diversa, quando parlano che la Tv deve rappresentare le voci, almeno sette, vuol dire che deve parlare dei partiti maggiori propinando al grosso pubblico il pastone quotidiano come un romanzo a puntate fatto di eroi, di leader, che tra di loro si accusano e contro accusano, poi ogni tanto cade un governo e qualcuno si fa male.

Non è tanto la società civile che conta bensi le sue rappresentanze istituzionali, i partiti che mettono loro uomini in seno alla Rai devono essere rappresentati nelle loro posizioni politiche, allora si vede il povero giornalista che è costretto col bilancino a dosare le informazioni citando i vari partiti dedicando un tempo proporzionale alla loro importanza, dicendo le loro posizioni, che visto il poco tempo a disposizione diventano assolutamente monche e incomprensibili del tipo: il PPI afferma che la giustizia è un tema centrale (vorrei vedere chi dice il contrario), I Verdi ribadiscono che è vero, i Riformatori non ci stanno (a che cosa?)

Il bello è che se un domani qualche leader dirà che la società civile dovrà contare di più l’imperturbabile giornalista sarà costretto dopo i partiti a riportare l’opinione del sig: Rossi di Messina o del sig. Bianchi di Ancona sempre con una sintesi bruttalmente ermetica da far concorrenza ad una poesia di Ungaretti. Quando i partiti affermano che i giornalisti devono essere scelti in base alla loro professionalità vogliono dire semplicemente che alla Rai non ci deve andare il braccio destro del leader che pur scrivendogli i discorsi non ha una patente da giornalista, ma il suo braccio sinistro che almeno ce l’ha.

Da anni sentiamo le noiose lamentele di chi sta all’opposizione, che il partito di potere ha messo tutti i suoi uomini alla Rai. Appena quello di opposizione va al potere fa esattamente la stessa cosa, difatti un partito ha senso altrimenti sarebbe un puro e semplice movimento fuori dalle istituzioni quando prende il potere per cui i suoi iscritti si spartiscono le poltrone, l’unica serietà è rappresentata dal fatto che il leader metta uomini fidati ma che siano almeno competenti, cioè che da anni si siano specializzati sulle problematiche e non si improvvisino esperti come nelle lottizzazioni selvagge dei tempi democristiani in cui si mettono uomini fidati e basta.

Essendo l’informazione strategica per i partiti la RAI è diventata una specie di campo d’occupazione dei medesimi al punto da sviluppare una organizzazione elefantiaca con centinaia di direttori e vice-direttori e una specie di “quadrilatero” dirigenziale che richiama studiosi da tutte le parti della terra per cercare di decifrare questo tipo di organigramma.

Quindi è meglio affermare che l’occupazione risulta inevitabile, ma deve essere controbilanciata almeno scegliendo dei nomi che pur cooptati dall’interno del partito o dalle sue vicinanze abbiano la competenza necessaria per affrontare e risolvere determinati problemi e non un’occupazione “parassitaria” come è avvenuto in passato, tanto per far girare nei posti di potere “membri” gonfi di boria, teste con un’intelligenza in miniatura, del partito.

La stessa nomina di “tecnici” esperti nel management aziendale pur nella loro apparente imparzialità viene fatta dagli stessi partiti a cui devono in seguito rispondere, senza contare che così è più facile nascondere e dissimulare interessi ben precisi, mettendo in campo politiche che dimostrano una loro opzione ideologica seppur travestitia da schemi di neutralità.. Se un membro di una commissione è stato inserito in quella commissione grazie al partito, come esperto egli potrà certamente selezionare i progetti in base ad una sua competenza acquisita facendo l’interesse pubblico, ma se dovesse nella sua azione bocciare un progetto su cui c’è l’appoggio di un pezzo grosso del partito si renderebbe poco affidabile in quanto diminuirebbe il potere del pezzo grosso, quindi chi cerca di far carriera nel partito ed essere apprezzato per la sua fedeltà non dovrà esprimere opinioni o azioni in contrasto, poichè la dialettica interna si riduce a limiti molto controllati.

Un processo del genere è inevitabile e si può attenuare solo con il ricambio di potere e di attori politici, ma quando questo non si verifica la degenerazione cresce, il partito sviluppa interessi paralleli che fanno concorrenza al bene pubblico e il potere si trasforma in una rete dalla struttura illegale in cui vengono praticati abusi sistematici.

Una persona che vuole conservare la sua indipendenza e la sua libertà difficilmente riesce ad entrare nei partiti, anzi viene emarginata soprattutto se dimostra un minimo di intelligenza perché il pezzo grosso del partito non vuole circondarsi di persone che gli facciano ombra, devono essere invece medie o mediocri, (similia cum similibus) dotate di spirito gregario, sempre fedeli e controllabili, ecco perché alla lunga il partito si sclerotizza e si burocratizza, perché ogni cosa che tocca rende media anzi mediocre, notarile e noiosa per poi scomparire tra gli sbadigli.

Allora il partito diventa una entità separata, un nemico della società civile, occupa i posti migliori attraverso una rete “mafiosa” in cui spesso si registrano faide interne, queste faide sono indice di una degenerazione, il partito diventa necessario perché molta gente vive dei suoi favori, e comunque il partito rimane un filtro obbligato, l’acqua calda che prepara qualsiasi infuso, decotto, tisana, in quanto la sua rete occupa tutti i posti di potere. Se dovessimo cambiare la Costituzione bisognerebbe affermare il principio che non i partiti, bensì i movimenti autofinanziati sono il fulcro della democrazia perché sono radicati nella società civile e in quella vi ritornano volentieri. Homo democristianus

giancarlo sartoretto

 

 

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