Menocchio film di Alberto Fasulo

Ho visto un film interessante come Menocchio per la regia di Alberto Fasulo che però prende una piega troppo ripetitiva nelle immagini in primo piano togliendo forza al racconto, c’è si una immersione in una storia rinascimentale con una religiosità laica ben interpretata dagli attori, ma le inquadrature costantemente in primo piano, sarà perché ero in prima fila al cinema Edera di Treviso (tutto pieno) veniva voglia di vederle più larghe, almeno ogni tanto. Era tutto un ricercare le immagini della pittura del ‘500, tanti quadri come se ogni inquadratura fosse pittura, solo che in questo modo i personaggi rimanevano in una staticità bella come forma ma un po’ ridondante, forse una maggiore attenzione alla sceneggiatura avrebbe dato più fruibilità alla storia tratta da un libro di Carlo Ginzburg “Il formaggio e i vermi” ed. Einaudi e alle voci del tempo, c’erano troppi silenzi e un linguaggio a tratti sviluppato per bene a tratti un po’ ridotto che nega quel tanto di dinamicità pur sempre in un quadro autoriale dell’autore, alla fine si sta più di un minuto sul viso di Menocchio che abbiamo visto abbondantemente in tutti i chiaroscuri pittorici del film, mi ricordava un certo Alessandro Benvenuti ma il quadro povero delle scene nell’insieme non dà una forza trasognante, da renderlo emotivamente coinvolgente.

Ho visto un film interessante come Menocchio per la regia di Alberto Fasulo che però prende una piega troppo ripetitiva nelle immagini in primo piano togliendo forza al racconto, c’è si una immersione in una storia rinascimentale con una religiosità laica ben interpretata dagli attori, ma le inquadrature costantemente in primo piano, sarà perché ero in prima fila al cinema Edera di Treviso (tutto pieno) veniva voglia di vederle più larghe, almeno ogni tanto. Era tutto un ricercare le immagini della pittura del ‘500, tanti quadri come se ogni inquadratura fosse pittura, solo che in questo modo i personaggi rimanevano in una staticità bella come forma ma un po’ ridondante, forse una maggiore attenzione alla sceneggiatura avrebbe dato più fruibilità alla storia tratta da un libro di Carlo Ginzburg “Il formaggio e i vermi” ed. Einaudi e alle voci del tempo, c’erano troppi silenzi e un linguaggio a tratti sviluppato per bene a tratti un po’ ridotto che nega quel tanto di dinamicità pur sempre in un quadro autoriale dell’autore, alla fine si sta più di un minuto sul viso di Menocchio che abbiamo visto abbondantemente in tutti i chiaroscuri pittorici del film, mi ricordava un certo Alessandro Benvenuti ma il quadro povero delle scene nell’insieme non dà una forza trasognante, da renderlo emotivamente coinvolgente.