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L’ECONOMIA DAL BASSO

22 Marzo 2018

Presso l’ISTRESCO l’istituto Storico della Marca Trevigiana, Chiara Scarselletti una giovane studiosa intrattiene i presenti su una ricerca che ha effettuato nel territorio trevigiano e che si può intitolare come un esempio di una forma di economia veneta dal basso.

All’inizio degli anni ‘60 com’è noto, in tutta Italia e nel Veneto abbiamo avuto il boom economico contrassegnato qualche anno prima dall’abbandono dei campi e dalle case coloniche patriarcali, gli ex contadini si trovavano il lavoro in fabbrica dando vita a famiglie mononucleari, quando tornavano a casa coltivavano l’appezzamento creando la figura dell’operaio contadino, in quegli anni l’edilizia si sviluppava in maniera quasi abnorme senza nessun tipo di programmazione di piani edilizi, tante nuove case erano costruite molto spesso aiutate dai parenti, (chi non si ricorda il film di De Sica “Il Tetto” 1956) case che avevano grandi scantinati e così crebbe il lavoro a domicilio: le donne si comprarono a rate la macchina per fare i maglioni sfruttando il nuovo spazio acquisito e in questa nuova attività ci doveva essere qualcuno che faceva il rappresentante piazzando i prodotti altrimenti rimanevano invenduti, buoni solo per l’economia domestica come succedeva spesso nella società patriarcale coll’artigianato invernale.

Oltre alle magliaie quasi ogni famiglia patriarcale aveva una ragazza che faceva la camiciaia (anche un uomo) a cui si rivolgevano tutti i parenti acquistando la pezza di stoffa, era un lavoro a domicilio un altro lavoro molto diffuso era la sartoria: vestiti, abiti e riparazioni in cui in cambio si dava uova e qualche altro prodotto agricolo, ma anche i propri risparmi a fatica accantonati.

Negli anni sessata in Veneto emerse il fenomeno Benetton, anche lui era un rappresentante di commercio mentre la sorella era una magliaia, un classico presente in molte famiglie appunto, bisognava solo organizzare il lavoro semplificare personalizzando meno le ordinazioni e poi fare lavorare a domicilio queste magliaie, ma anche le camiciaie. Insomma l’economia dal basso che aveva i suoi piazzisti si stava strutturando come una rete.

Da questo secondo versante nasce l’impresa di Paolo Pistellato: io so come si fa! Dice all’intervistatrice, nasce come un camiciaio “terzista” di Benetton, Luciano girava per tutta la campagna veneta, organizzando una rete di lavoratori a domicilio, così non occorreva neanche “la fabrichèta” e si risparmiava nei costi senza contare che poi era preponderante l’economia sommersa (nel nero) una formula produttiva artigianale che non prevedeva molte tasse e lo sfruttamento e l’intensificazione del lavoro distribuiva vantaggi un po’ a tutti.

Anche se il sindacato stava attento su tutto il territorio per combattere i fenomeni di sfruttamento, tutta la catena economica non era ancora ben strutturata ed oliata.

Intanto la famiglia Pistellato di Mirano si mette in proprio nel ‘75 sempre con un piccolo laboratorio ricavato dall’abitazione che in poco tempo grazie ad una perfetta razionalizzazione economica arrivava alla bella cifra di 12.000 camicie fabbricate, che non sono poche se poi qualcuno non gliele vendeva, se il mercato non assorbiva il prodotto (quindi con problemi di giacenza), il ritorno economico sarebbe stato rallentato con possibile mancanza di contante che a sua volta poteva mandare in crisi tutto il sistema, intanto l’abitazione non era separata dal laboratorio, e l’economia diventava una forma totalizzante di vita e di amicizia condividendo una situazione in comune tra gli operai, l’imprenditore e rappresentati di commercio, mancava cioè qualsiasi forma di separazione tra attività lavorativa e tempo privato: così non ci si imbroglia anche nel senso di rispetto reciproco, la crescita è continua, i problemi però si esternalizzano fuori dal laboratorio e sono dovuti ai costi di espansione, quando nell’’84 fonda il marchio NARA CAMICIE opera un salto di qualità, ma il marchio di per sé non porta automaticamente al guadagno solo l’aumento del costo di produzione anche risicato può aumentare le difficoltà, non sempre è facile: dipendenti, tasse, affitti, forniture, costi fissi e variabili e magari collocazioni, distribuzione della merce, capannoni, magazzini, affitti negozi, personale, insomma allargandosi (erano partiti da un piccolo laboratorio) i costi si amplificano e se qualcosa non funziona il puzle di tante tessere faticosamente composto si può facilmente sgretolare, i prezzi non sono più competitivi soprattutto con i cinesi che “inquinano” a basso costo.

Poi Pistellato fonda un altro marchio “END” nel ‘93 aprendo in Calmaggiore a Treviso un negozio esclusivo, tutto sembra andare alla grande, ma i cinesi il vero incubo, fanno le stesse cose a prezzi più bassi, cmq la domanda interna in mancanza di crisi è sempre sostenuta e tutto sembra andare per il meglio fino a quando la crisi dell’abbigliamento getta tanti nel disastro, e tra questi sono molti quelli che dipendono ad esempio da Benetton e che hanno investito in macchinari…Crisi, arrabbiature, fallimenti e risentimenti.

Delocalizzazione è la parola chiave che non “ti chiava”, su certe “pratiche” non proprio eroiche la relatrice ci informa che lo stesso imprenditore è reticente, finiscono i legami si sciolgono i rapporti anche con Benetton e la famiglia Pistellato si deve occupare di promozione, collocazione, marketing, di campionario allargato per diversificare, della moda si occupa la figlia e la casa rimane sempre aperta a tutti i rappresentanti, la moglie fa la cuoca come in una trattoria, l’abitazione di stile rustico si rinnova con qualche apertura al kich, però intanto a Mirano 1500 persone con l’indotto,vivono di questa economia, tanti ordini in tutto il mondo, globalizzazione spinta, non manca di autocritica Paolo Pistellato sulla delocalizzazione: “siamo stati dei dilettanti allo sbaraglio” e l’autocritica lo porta verso il difetto tipico di voler imitare gli Usa, senza contare che la delocalizzazione in Romania all’inizio viene effettuata in condizioni pessime, le camicie ritornano macchiate perché l’ambiente non è salubre, va bene risparmiare, però bisogna anche spendere per adeguare la struttura. Pistellato va in Romania e mette a posto le cose tirando fuori il portafoglio e adesso nonostante un periodo di crisi, l’attività è in piena ascesa: 95 punti di vendita.

Certo la ricerca storica ha difettato di qualche silenzio di troppo sulle connessioni tra attività, commercio, manodopera e ambiente sociale, troppi silenzi che la fanno diventare quasi una ricerca che rischia di diventare apologetica, quindi è importante lo scavo per poter capire meglio molte forme di imprenditorialità vigenti e vincenti.

Blog di Gian Sart

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