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4 – L’HOMO DEMOCRISTIANUS caplo X

21 Aprile 2013

FINANZIA UN FILM VINCI UNA CASA

L’Homo Democristianus – Ritornando alla rete, quando viene stesa, cattura tanti piccoli pesci, talvolta cattura grosse prede e soprattutto può entrare in rotta di collisione con un’altra rete; molti sono gli ostacoli protetti e negli scontri che ne derivano, l’umanità assorbe una grande parte del suo tempo.

Se per caso un individuo calpesta una parte di rete, tutta la rete reagisce e il povero soggetto si trova davanti a un muro perché se pesta i piedi a quel tale, sono in tanti a sentirne il dolore come se li avesse pestati a tutti. Si crea l’amplificazione di effetti che come un gioco di specchi rimanda l’immagine pericolosamente deformata a tanti altri, fino al punto che costoro alleandosi la faranno sparire.

La rete è affidata al caporete il quale si servirà dei suoi accoliti, vigeranno altresì regole, riti da tradursi in comportamenti “mafiosi”, anche la politica ha un suo linguaggio nascosto, corporeo, fatto di gesti, cenni, espressioni del viso.

Con la rete si entra facilmente nella palude della politica a discapito di ogni libertà individuale, chi incappa nella rete può solo tentare di fuggire o diventare reticente, omertoso, i diritti non esistono più, solo protezioni alternative che siano abbastanza forti da contrapporsi a quella rete, tutto si riduce a dipendenza, sparisce l’autonomia, ogni diversità sarà bandita se non avrà l’accortezza di costituirsi in rete alternativa, il gruppo degenera in clan, chi non accetta queste regole soffoca per mancanza di spazio, bisognerà attaccarsi a qualche “cordata” come parte aggiunta, legandosi ben bene per non cadere rovinosamente, la cordata mira alla scalata se la vetta viene raggiunta ci si può tranquillamente riposare sui primi allori, se si frana miseramente bisogna cominciare tutto da capo.

In politica il cambiamento viene ostacolato da reti di interessi i cui fili annodati a volte inestricabili costituiscono punti di accordo tra reti creando un tessuto di “mafiosità” così ben ordito difficilmente districabile tendente a sconfiggere ogni cambiamento imbrigliandolo nella grossa matassa.

In questo contesto le lotte tra clan si manifestano senza esclusioni di colpi, a volte rimangono nei pressi della legalità con modesti ricatti all’acqua di rose, altre volte debordano e tracimano in manifestazioni di incredibile violenza soprattutto se siamo nel mondo della malavita. Si ricorre a colpi bassi, fendenti improvvisi quando la guardia è allentata sfruttando ogni debolezza dell’avversario; in politica come in carriera e negli affari si formula al meglio ogni ricatto derivato dallo squilibrio temporaneo, da una situazione di fragilità transitoria, indotte da una reciproca dipendenza, la quale riflette l’azione di ruoli sociali che instaurano determinati comportamenti e reazioni nei soggetti.

Ciò scoraggia una reazione perdente e distruttiva in soggetti ragionevoli perfettamente adattati al loro ruolo che misurano la convenienza o sconvenienza ad agire a seconda di dettagliati calcoli.

La trasversalità “di potere” inizia con dei punti di contatto che si stabilizzano per effetto di certi incarichi nelle istituzioni. Il tempo crea sottili ragnatele come fili che congiungono varie reti, su questi fili scorre il linguaggio “ermetico” che traduce la convergenza di interessi mai del tutto asseriti e mai del tutto negati.

Ciò costituisce la premessa di possibili accordi e la costituzione di equilibri impliciti da cui facilmente nasce una situazione di ambiguità a tratti voluta perché creata, o dovuta in quanto imprescindibile dai rapporti di potere tra soggetti. Da ciò scaturiscono delle regole ferree che governano la generalità di tali rapporti:

1) è sempre meglio favorire o compiacere “l’avversario” politico anche se costui se vuole, riesce a respingere le attenzioni, in questo caso si assiste al “corteggiamento” per cui il prezzo dell’incontro aumenta e ciò perché condivide lo stesso potere istituzionale. Basta notare ad esempio come funzionano certe commissioni ministeriali che finiscono con lo spartire tra i propri membri i finanziamenti pubblici.

Chi manovra dovrà cercare di comprare i “binari” che gli permettono di marciare verso la meta per non essere eccessivamente contrastato. Gli affaristi sono legati al partito politico esclusivamente per ingurgitare pezzi di torta da dividere con altri nella stessa condizione, però possono mandare avanti altri amici se certi giochi di potere li hanno messi da parte e quindi manovrare nell’ombra.

E’ inutile valutare la bontà dei “progetti” e procedere in maniera da salvaguardare una sorta di “meritocrazia” (arcaico valore borghese), si procede invece al rituale spartitorio con le sue procedure quasi ipnotiche e un linguaggio di copertura tutto pieno di valutazioni fasulle da verbalizzare, se si comincia ad alzare la voce ciò significa che gli accordi sono saltati per qualcosa di dissimulato tenuto artatamente nascosto, per doppiogiochismi dell’ultima ora e la riunione può prendere forme concitate, allora anche il verbale sarà più attaccabile nonostante la maestria di qualche ricucitura scritta in uno stile burocratico il più possibile anonimo.

Il tutto si condensa in poche e significative pagine lette e rilette, masticate con tutte le virgole dai delusi per rimediare qualche contraddizione, attaccarsi a qualche frase dai significati oscuri – e lo stile burocratese agevola lo scopo – allo scopo di effettuare il ricorso facendo lavorare i propri avvocati.

Il rituale spartitorio crea il processo di lottizzazione che a sua volta agevola ulteriori spartizioni, certi progetti vengono appoggiati, caldeggiati e ottengono la maggioranza dei consensi, altri rimangono in minoranza, i primi riescono ad avere un consenso generalizzato, trasversale, i secondi sono di facciata, ma la discussione si anima quando i fondi non sono sufficienti e qualcuno dovrà venire escluso.

Chi tagliare? Si cerca allora una “parametrazione” oggettiva che naturalmente non sarà mai unanime, alla fine un compromesso faticosamente raggiunto metterà tutti d’accordo salvo l’escluso. La regola n° 1 è quella di favorire l’avversario politico piuttosto che un proprio compagno di partito che non può dare niente in cambio o molto meno del vantaggio acquisibile attraverso il compromesso, a meno che non entrino in gioco altri equilibri come un grosso favore da rifondere al compagno di partito o un favore da fare a chi l’ha messo in quella posizione.

2° Bisogna compiacere un componente del partito alleato che fa lega col proprio nell’alleanza di governo perché nel sottogoverno la rete diventa un labirinto: tanti sono quelli che fanno anticamera, bussano nelle varie porte, attendono pazienti all’uscio, ma le richieste girano vorticosamente nel labirinto tra i molti messaggeri-galoppini fino a trovare grossi intermediari.

Costoro come in un alveare di api in cui ognuno ha il proprio compito filtrano le richieste girandole a chi di dovere, in un gioco di correnti indotte dalle vie articolate, fino ad arrivare su in alto o meglio al centro del labirinto, poi le smisterà all’ufficio di segreteria di chi presiede la catena che tante cose non sa e non vede che però presiede per cui può succedere di trovarsi marpionato da scandali di fatti avvenuti sotto il naso ma a lui sconosciuti.

Durante il tragitto certe richieste si perdono per strade contorte e rimangono chiuse nei cassetti se non vengono opportunamente seguite dall’interessato anche perché il messaggero si vantava all’esterno per avere benefici, ma nell’alveare non era tanto considerato. Si può paragonare ad una pallina che entrata nel flipper corre, sbatte a destra e manca, fa punti, viene rilanciata e giocata più a lungo rispetto ad una altra pallina che fa subito buca.

In genere i partiti politici quando occupano il potere in nome della “trasparenza” si spartiscono risorse proporzionalmente tra di loro, quando manca la trasparenza, qualcuno prevale anzi preleva un po’ di più e gli altri si devono accontentare di briciole e macchinazioni subite.

Coloro che sono rimasti a lungo a digiuno possono continuare nella loro attività “spirituale” fino ad avere le visioni, ma qualcuno più concreto alla fine preferisce le divisioni, le moltiplicazioni, le addizioni e le sottrazioni tutte quattro operazioni spartitorie che però possono riguardare più i poteri che le risorse e ciò si deve dire per non essere tacciati di qualunquismo.

Chi cerca di guadagnare il tempo perduto, esagera se lo può fare soprattutto se è un deluso dalla sua ideologia e allora quando diventa pragmatico forse alla causa dell’età, affonda le mani e i piedi con una certa naturalezza, anzi si spaventa di questa naturalezza, come se l’avesse sempre voluto, si era nascosto fino a quando aveva potuto ma alla fine anche lui si prenderà discretamente il dovuto, dovuto da chi? C’è chi però si accontenta di un puro potere “simbolico” preferendo rimanere fuori da certi giochi: il generale che deve fare carriera rispetto al maresciallo che tira a campare.

Però si trova in una posizione di debolezza perché può essere falsamente, facilmente coinvolto per nascondere qualche altro che ha effettivamente abusato, diventando sovente vittima delle stesse macchinazioni, nessuno può nascondersi a priori almeno che non sia talmente in alto che gli altri sfruttano la sua ombra senza osare attaccarlo. Se il partito privilegia l’apparato, certi giochi possono essere più facilmente coperti dentro una struttura burocratica protettrice, rispetto al partito centrato sul leader, sul capo del quale possono ricadere le responsabilità.

Nella regola n° 1 si cerca sempre di rendere morbida, malleabile, l’opposizione favorendola ad ogni occasione perché questa denunci solo parzialmente i giochi di potere, gli intrallazzi, gli scambi reciproci, con la regola n° 2 si cerca di neutralizzare eventuali conflitti nati dalla spartizione favorendo chi ti deve poi appoggiare. Chi manovra in una commissione dovrà perciò essere “sensibile” talvolta “ipersensibile” ai partiti della coalizione per neutralizzare certi conflitti nel luogo delle decisioni.

3°) Si agevolano i membri del proprio partito che abbiano però efficace potere contrattuale, quelli che contano, ovvero un gruppo egemone che distribuisce e filtra vantaggi. L’eventuale “servizio” alla società civile non è nemmeno preso in considerazione mentre molto di più conta il servizio alla “società servile”, sempre che un certo “servizio” non venga a loro combinato da qualche associazione di cittadini o da qualche altra associazione di interessi di parte, malcontenta della spartizione, le quali comincino a “sparare” con i poteri della denuncia pubblica, ma perché questa denuncia possa avere successo ci dovrà essere la concomitanza di elementi favorevoli, come l’indebolimento di potere del gruppo politico, una situazione di transizione, un momento favorevole di clima giustizialistico, una maggiore autonomia delle varie istituzioni dello stato conseguenza anche dell’indebolimento dei sistema di potere, un approssimarsi delle elezioni, un clima di corruzione ormai troppo accentuato, una opposizione “rivoluzionaria” che punta sulle piazze, in altre circostanze può ritornare indietro come un boomerang e determinare l’isolamento accentuato del gruppo a meno che non abbia buon gioco con i mezzi di comunicazione di massa.

Allora diventa necessario neutralizzare anche queste associazioni concedendo qualcosa ai suoi membri rappresentativi almeno fino a quando ci sono i giornali dietro, spenta la spinta tutto ristagna mentre qualche membro rappresentativo inamovibile dal suo essere rappresentativo, viene cooptato nella stanza dei bottoni dove ha modo di agire sulla commissione tramando al punto da riuscire a far sostituire qualche componente rompendo l’equilibrio costituito.

La fetta di “torta” per i più che hanno militato nei partiti politici, costituisce una specie di “risarcimento” del sacrificio della militanza: tanti anni di volontariato per il partito e non hanno mai chiesto niente, adesso che c’è il figlio da sistemare insistono nell’affermare il loro diritto primario a sfruttare certi canali aggirando regole e leggi (il partito può se vuole) sugli altri membri della società civile, come se svolgere attività politica non fosse una scelta autonoma di fede (nell’ideologia) speranza (nel futuro) e carità (cristiana o socialista), se ciò significa accumulare frustrazioni e autogiustificarsi, autoassolversi, ognuno allora potrebbe autoassolversi quando non rispetta le regole della convivenza indotto dalla necessità di agire per un proprio interesse o vantaggio.

Questi galoppini ti obbiettano che non hanno mai chiesto niente, anzi si vergognano un po’ (si fa per dire), ma un favore, un favore, dico, si può negare a un membro così assiduo, fedele, pronto, affidabile, lo si fa a tanti dell’opposizione o della maggioranza, possibile che noi siamo figli della serva o l’ultima ruota del carro, noi che lavoriamo per il partito? E così diventa inevitabile che il partito perda ben presto la sua funzione di coesione ideale per trasformarsi in una rete d’affari ancora più prepotente- potente se si basa sul pragmatismo antideologico soprattutto se riceve finanziamenti dallo stato, rigenerandosi in una struttura burocratico-aziendalistica.

La politica costa, ti rispondano, se non vuoi che diventi una crosta di lerciume e quindi diventi ancora più sporca e così per non sporcarsi troppo dovrà essere finanziata dai cittadini attraverso una tassa non suoi rifiuti, ma sui partiti politici che diventano vere e proprie articolazioni dello stato che hanno interesse che niente cambi, perché tutto debba rimanere come prima (cioè ben finanziato)

Questa mostruosità fa intendere che il partito diventi un’affare con qualche idea di copertura per meglio arraffare di fatto perdendo ogni autonomia, istituzionalizzando ciò che c’è, contribuendo a conservare il mestiere ad una classe politica che può sclerotizzarsi. E intanto la società civile paga, ma chi la risarcisce?

Una struttura organizzativa permanente irrigidisce ogni possibilità di cambiamento interno, congela il potere nelle solite mani, che diventano per forza col tempo, mani sporche sfuggendo a qualsiasi controllo del partito.

Solo un’organizzazione leggera e mobile come il movimento sociale impedisce tale concentrazione di modo che la società civile non venga completamente soffocata da strutture separate che pretendono di rappresentarla nel teatrino quotidiano della politica in tutte le possibili voci, gesti e suoni, da parte dei politici-attori-politicanti.

Non si può negare un favore all’amico e al compagno che in passato è stato magari discriminato per non essere stato dello scudo-crociato.

Ecco che allora il partito assolve ad una funzione di “protezione cooptiva”: tu dai a lui e lui ti darà in cambio dei vantaggi preferendoti ad altri, magari più meritevoli, ma che non hanno appoggi perché cresciuti “liberamente” nella società civile e quindi non portano acqua al mulino del partito, il quale per vivere e sopravvivere sulle spalle della comunità attraverso il finanziamento pubblico, diventa un polo d’attrazione di tanti “mediocri” che occupano posti nevralgici del potere anche culturale i quali soffocano ogni tentativo di innovazione e cambiamento e soprattutto lo sviluppo di talenti naturali nel campo dell’arte che finirebbero coll’evidenziare la loro mediocrità, è molto meglio essere adulati e circondati dai propri simili che dare spazio a chi li potrebbe soppiantare. homo democristianus.

 

 

by giancarlo sartoretto

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